Tre, due, uno… la nascita dello Zero
Il sistema di numerazione decimale utilizza dei simboli per rappresentare numeri (le cifre 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9) ed il principio posizionale, secondo il quale le cifre indicanti le prime unità possono servire anche come cifre per i corrispondenti multipli di qualsiasi potenza di dieci, che è la base del sistema di numerazione.
Così ad esempio “787”, un numero intero con 3 cifre, corrisponde a 7 centinaia + 8 decine + 7 unità (aritmeticamente 7x102 + 8x101 + 7x100), il valore della cifra dipende insomma dalla posizione che occupa.
Il sistema di numerazione decimale, che utilizziamo tutti i giorni, è il frutto dei contributi e delle interazioni di molte civiltà che si sono sviluppate nei millenni.
Voglio qui soffermarmi su un aspetto di tale evoluzione, una rivoluzione nella storia della matematica avviata nell'India del VII secolo d.C. quando il matematico-astronomo Brahmagupta assegnò allo zero il ruolo di numero a tutti gli effetti.
Per la prima volta lo zero compariva nei calcoli assieme alle altre nove cifre; simbolo e numero potente e misterioso, sarebbero passati molti secoli perché l'Occidente facesse tesoro di tale conoscenza.
Brahmagupta era uno studioso molto rispettato, a capo dell'osservatorio di Ujjain, principale centro di astronomia e astrologia dell'India antica.
In quegli anni la matematica era subalterna all'astronomia, Brahmagupta scrisse sia dell'una che dell'altra e fu tra i primi a studiare la matematica come una disciplina a sé stante il cui scopo è quello di trovare i principi dietro le cose.
All'epoca di Brahmagupta, in India ed in molti altri paesi, si utilizzava un sistema decimale con 9 cifre, questo rendeva difficile trattare numeri di una certa grandezza che presentavano dei vuoti in corrispondenza di alcune posizioni - ad esempio il numero “moderno” 9028 è privo delle centinaia - bisognava allora fare delle pause quando si comunicavano tali numeri, ciò era fonte di errori di comprensione oltreché di complicazione nell'effettuazione dei calcoli.
UJJAIN - Sandipani Ashram - in questo tempio Brahmagupta discuteva con i suoi alunni
Ancora, se con i numeri positivi si possono indicare attività oppure crediti e con i numeri negativi si indicano invece passività o debiti, cosa succede se le attività sono uguali alle passività? Non rimane nulla. E qui i matematici del tempo si arrendevano.
Da sempre però l'uomo ha creato nuovi numeri quando ne sentiva il bisogno e per questo nacque lo zero, in sanscrito “śūnya”, sinonimo di vuoto, di vacuo, di una condizione di assenza.
Nel 628 d.C. Brahmagupta per primo ragionò sul comportamento dello zero nelle operazioni di addizione e sottrazione e descrisse situazioni come:
crediti + debiti = 0
crediti – crediti = 0
crediti + 0 = crediti
ovviamente doveva passare ancora molta acqua sotto i ponti prima di definire impossibile una divisione per zero o indeterminata una divisione tra due zeri, ma ormai anche il nulla era concepito come un'entità, ed aveva il suo numero.
Śūnya ha anche un significato filosofico più profondo: gli induisti tuttora vedono l'universo come un continuo alternarsi di creazione e distruzione; nella sua visione mistica l'India ha sempre accolto il concetto di nulla, il nulla fa parte dell'infinito ciclo di nascite e morti, non ha una connotazione negativa, non fa paura, anzi è uno stato mentale a cui aspirare.
La possibilità poi di aggiungere via via degli 0 a destra di una cifra permette di esprimere numeri sempre più grandi, inimmaginabili... e anche questo è un tentativo molto umano di misurarsi col concetto di infinito e di eternità.
Se l'India è la patria dello zero, il potenziale di questo numero si concretizzò nei secoli, anche grazie all'incontro con altre culture: l'esempio più importante è forse quello del matematico persiano Al Khwarizmi che grazie allo zero, nel IX secolo, poté enunciare delle proprietà (oggi le chiamiamo principi di equivalenza) che permettono di risolvere velocemente problemi in forma di equazioni.
Nonostante i frequenti contatti tra il mondo arabo e quello cristiano-occidentale, è solo nel XIII secolo, sei secoli dopo Brahmagupta e grazie a Leonardo Fibonacci, che lo zero compare in un testo occidentale. Leonardo, figlio di un mercante pisano, accompagna fin da giovane il padre nei suoi viaggi nel nord Africa e viene affascinato da un sistema di numerazione molto più efficiente di quello romano, allora ancora in uso.
La spiegazione delle 9 cifre del sistema numerico decimale indo-arabico e l'uso dello zero compaiono nelle pagine del Liber Abaci di Fibonacci, forse il più famoso trattato di aritmetica ed algebra medievale europeo.
Dovranno però passare ancora un paio di secoli affinché il sistema di numerazione decimale sostituisse gradualmente e definitivamente quello di numerazione romano;
il concetto di numero, con significati sempre più astratti, unito ad efficienti tecniche di rappresentazione e di calcolo, continuò ad essere uno straordinario propulsore di progresso.
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- Storia della Matematica – C.B.Boyer